Articoli/Recensioni


Giovanna Bentivoglio per Pagine e Caffè

Il romanzo di Davide Potente si inaugura nel chiuso di una stanza di una pensione di quart’ordine, nella penombra di un giorno nascente, nello spazio bianco di una memoria cancellata. Il protagonista è solo e confuso, non riconosce il luogo, riconosce a malapena se stesso e annota con crescente disagio l’estraneità del contesto che in breve lo situerà per dettagli e agnizioni, attraverso incontri e confronti, in un luogo avulso dalle sue supposte abitudini e lontano nel tempo, un interstizio temporale collocato nella Berlino del 1921. Eppure, diversamente da quanto il lettore tenderebbe a prospettarsi, non si tratta affatto di un romanzo fantascientifico, o di un costrutto narrativo che si proponga di analizzare e descrivere le vie misteriose e gli anfratti problematici di uno scenario onirico. L’illusione, il gioco illusionistico di Teoria del Risveglio si collega con intenzionale e lucido andamento con un quadro ideale solcato da una netta linea di demarcazione tra un presente mobile e tutto sommato interscambiabile e la consapevolezza di un’imminenza apocalittica, una visione che estende le sue propaggini e ancora saldamente la Berlino espressionista nella Repubblica di Weimar e ciò che ancora inavvertitamente sta maturando nel suo grembo, e il presente del protagonista Theo che ne coglie insieme ai foschi presagi e la lugubre ineluttabilità una minaccia sempre attuale. La scelta dell’autore, brillante e originale esordiente nel romanzo, ma non nuovo nella pratica del racconto per immagini o attraverso la composizione musicale, punta su una messa in scena replicata, reinventata e speculare di un celebre film, il Caligari, per farne simbolo e la traccia narrativa in cui i personaggi di Theo, di Hans e Rebecca, Otto e Greta, incarnano le maschere mutevoli e ambigue di una vicenda intessuta di equivoci, rivelazioni e colpi di scena, mentre lampeggiano i segnali di un potere nascente sullo sfondo sonoro delle falangi dei freikorps, che getta ombre inquietanti sul futuro della Germania e del mondo. Ma l’elemento forse più coinvolgente e toccante del romanzo, al di là della perizia dell’autore di costruire una trama densa di simboli e allusioni, e di intrecciare le traiettorie della storia in sequenze cariche di tensione e di enigmatici segnali, è la scrittura stessa di Davide Potente, uno stile elaborato in funzione della esattezza e della efficacia del racconto, una cura e una ricchezza di espressione che ne potenzia la prosa e lo consegna al rango di narratore capace di ideare su una base culturale solida un racconto orchestrato con una strumentazione coinvolgente e promettente.

Newsclick

Il sole sorgeva su una città ancora dormiente, le imposte delle case come occhi chiusi, gli occhi della città, oltre i quali migliaia di stanze cullavano nel tepore del sonno il riposo dei rispettivi inquilini. Ma da qualche parte, fuori dalla tranquillità di quelle stanze intorpidite, l’alba aveva cominciato silenziosamente ad allestire le strade della città, investendole con la sua luce materna, come per prepararle agli eventi di un altro giorno.
All’inizio degli anni ’20 Berlino è uno dei principali centri della cultura europea, manifesto vivente e pulsante delle nascenti avanguardie, punto di riferimento per le grandi personalità della cultura e dell’arte. Allo stesso tempo esiste anche un’altra Berlino, quella invisibile, socialmente martoriata dall’inflazione, sopravvissuta a stento all’esperienza della guerra, ed è proprio nelle strade di questa seconda città che si annidano i pericolosi germi di rivalsa e orgoglio ferito che condurranno rapidamente la Germania al nazionalsocialismo.
Entrambe le facce di Berlino sono presenti in questa storia e si alternano in maniera rapida, imprevedibile, confondendosi nel violento chiaroscuro di un film espressionista. Lo sa molto bene Theodor Seeber, il protagonista di Teoria del Risveglio, catapultato dalla fine del secolo scorso ai golden twenties berlinesi con tutte le conseguenze del caso. In primis l’incontro con lo sceneggiatore Hans Janowitz in una soffocante stanza d’albergo nella quale Theo è inchiodato per ben tre capitoli, quasi a bilanciare la vertiginosa esplosione di colori e suoni della vita urbana che animeranno il resto del romanzo in un alternarsi di realismo e allucinazione.
Proprio la città, con i suoi volti e le sue luci, le sue strade caotiche o deserte, le sue notti e le sue albe, si fa luogo di coscienza del protagonista, nonché spettro di osservazione per una riflessione più ampia e più profonda, che supera la tensione tra passato e futuro, arrivando a interrogare la storia degli uomini nel suo presente: “Mi guardai attorno. Volti sorridenti che testimoniavano una vita ritrovata. Volti che speravano, che temevano, che attendevano con trepidazione l’esito di un cambiamento. Che dovesse arrivare era inevitabile, solo non era chiaro di cosa si trattasse. Solo non era chiaro cosa in seguito la vita avrebbe ancora potuto offrire. Ma io sapevo. Sapevo quello che sarebbe accaduto. Sapevo che una società permissiva è solo l’anticamera di una dittatura. Berlino, millenovecentoventuno.”
L’intera struttura narrativa del romanzo tende, nel suo incedere geometrico, verso la dimostrazione di una teoria inedita che punta l’indice su una precisa scena del Caligari, film che inaugurò la gloriosa stagione dell’espressionismo cinematografico, offrendone una prospettiva inesplorata, una lettura diversa che si propone di riscrivere un importante capitolo di storia del cinema. I pochi metri di pellicola in questione, che sullo schermo scivolano via in un passaggio troppo rapido, vengono inchiodati sulla carta e analizzati in ogni punto per far si che censura e fascinazione visiva del film non abbiano ancora una volta la meglio sulla componente essenziale: quel messaggio sapientemente cucito sottotraccia che configura il Caligari come una grande metafora critica sul potere assoluto, ma anche come film profetico se si tiene conto dell’imminente caduta di Weimar e della conseguente ascesa degli estremismi politici.
Per questa ragione Teoria del Risveglio non è solo la fortunata storia di un blog a puntate trasformatosi in libro, ma è anche la storia di un film, un negativo di pellicola liberato da polvere e attributi categorizzanti e finalmente restituito agli uomini che lo scrissero. Un’operazione dovuta, perché, come ricorda una frase di Franz Blei in apertura, Gli uomini che volano con l’aeroplano mi interessano più dell’aeroplano stesso.

Emiliano Ferri per Stradanove

Berlino, 1921. Ci sono due cose che Theo ricorda bene. Il problema è che sono anche le uniche.
Superate le prime battute ci si accorge che è già troppo tardi per evitare di essere trascinati, a fianco del protagonista Theodor Seeber, nella surreale Berlino degli anni venti, tra luci, cabaret e scene di vita urbana.
Un vuoto di memoria, un intervallo nero della durata di poche ore, è sufficiente a catapultare Theo dalla fine del secolo agli irripetibili golden twenties, dove incontra Hans Janowitz, personaggio realmente esistito e sceneggiatore di successo della Berlino espressionista. I due affrontano l’ardua impresa di trovare una logica agli accadimenti che li hanno portati a incontrarsi, muovendosi nello scenario irrequieto della Repubblica di Weimar, assillato dall’inflazione, dal malcontento generale e dalle costanti minacce degli estremismi.
In una metropoli in cui tutti sembrano vivere un permanente conto alla rovescia, viviamo assieme al protagonista l’angoscia e i presagi relativi a quanto da lì a poco accadrà in Germania. Nel caso del protagonista si tratta, più che di presagi, di sensazioni che hanno il peso di certezze storiche.
La storia entra nel vivo quando, in un cinematografo, Theo assiste alla proiezione di un film sceneggiato da Hans Janowitz, Das Cabinet des Doktor Caligari, che sta riscuotendo un certo successo anche all’estero. È un episodio importante che segna un punto di svolta nella trama del romanzo: da questo momento in poi, l’autore comincia a mostrare l’altra faccia della storia che sta raccontando, un vero e proprio impianto nascosto e parallelo.
Theo e Hans incontrano un gran numero di personaggi secondari, molti dei quali realmente esistiti, ed è incredibile notare come tutte queste figure, spesso appena abbozzate, riescano comunque a trasmettere con grande intensità il proprio ruolo all’interno del romanzo, sia pur nello spazio di poche battute. Ci si accorge allora di come questa storia, partita da un’anonima e ordinaria stanza d’albergo, si sia gradualmente allargata a un’intera città, arrivando a farsi testimone e interprete dello spirito di un’epoca, per poi, nel breve attimo di un risveglio, abbracciare l’umanità intera.
Il romanzo cambia improvvisamente marcia, diventa una progressione verso un inaspettato finale, tra punti di svolta e uscite di scena che, anche quando improvvise, conservano sempre una certa eleganza. La rincorsa generata dal cambio di ritmo termina in un salto che arriva a sciogliere un intreccio quasi inestricabile e a convincere il lettore di come sia impossibile, nel bene e nel male, sfuggire al proprio presente.
L’ambientazione urbana di alcune sequenze, di palese taglio cinematografico e forte carica visiva, strizza l’occhio a opere di George Grosz e Otto Dix, oltre che naturalmente al cinema espressionista di stagione. Ma la bravura dell’autore, capace di alternare passaggi molto intensi a momenti di alleggerimento, è forse soprattutto nel legare a doppio filo la trama del romanzo a fatti di cronaca realmente accaduti, con l’innesto di dettagli storici che rendono incredibilmente verosimile ciò che la ragione classificherebbe come impensabile.
Rischia di passare in secondo piano - e invece merita una nota a parte - la teoria del risveglio sul Caligari, che non a caso dà il nome al romanzo. L’autore, per mezzo di argomentazioni convincenti e ipotesi logicamente fondate, si propone di reinterpretare il significato ultimo di quello che è stato il primo film espressionista (film a dir poco profetico, capace nel 1919 di cogliere e anticipare l’avvento del Nazionalsocialismo), ponendo l’attenzione del lettore/spettatore su una breve scena, pochi ma significativi metri di pellicola che sembrano essere passati inosservati a decenni di critica cinematografica.
Trasformatosi da blog a puntate a libro stampato nel giro di pochi mesi, Teoria del Risveglio si presenta come l’esperimento riuscito di un giovane autore da tenere d’occhio.


Sal Modugno per L’Altra Molfetta

Nessun racconto può essere scritto senza l’adeguata conoscenza dell’argomento e del periodo storico che si intendono illustrare. Spesso, tale studio diviene un’esigenza, in quanto volto a evitare inesattezze ed errori grossolani nella trama; altre volte, le nozioni e i dettagli vengono assimilati ancor prima che l’idea di riutilizzarli per raccontare una storia possa formarsi nella mente, come pura e semplice passione. È il caso del romanzo del giovane scrittore molfettese Davide Potente, dall’enigmatico titolo Teoria del Risveglio, pubblicato lo scorso ottobre dalla romana Arduino Sacco Editore.
Ambientato nella devastata e instabile Berlino del 1921, il racconto narra la singolare vicenda di un uomo (di cui ignoreremo sempre il nome reale), che si sveglia in una stanza d’albergo, misteriosamente catapultato indietro nel tempo di settantotto anni, lontano dalla soglia del terzo millennio e in balìa della confusione più totale. Aiutato da alcuni personaggi della sua nuova epoca (tra cui spicca, su tutte, la figura di Hans Janowitz, sceneggiatore cinematografico realmente esistito e co-autore del celebre film muto Das Cabinet des Dr Caligari), il protagonista assumerà la fittizia identità del professor Theodor Seeber e cercherà in tutti i modi di rintracciare la mente criminale che si cela dietro il suo inspiegabile viaggio a ritroso nel tempo.
Non è difficile intuire, da subito, quanto la passione per il periodo storico e l’arte che lo caratterizza, abbiamo giocato un ruolo fondamentale nell’ideazione e nella realizzazione di questa storia originariamente pubblicata a puntate su un omonimo blog, con scadenza settimanale. Come è possibile leggere nella nota dell’autore in appendice al romanzo, la ricerca storica sulla vita privata di Janowitz è stata operata sulla base di una preesistente conoscenza dei fatti già noti, legati alla sua vita privata, come l’episodio di cronaca nera che lo vuole, nel 1913, testimone involontario dell’assassinio di una giovane donna. Sarà questo episodio – notoriamente legato alla realizzazione del già citato film datato 1919 – a fare da propulsore all’intera vicenda narrata nel romanzo. Mentre l’omicidio del 1913 funge da punto di partenza per il susseguirsi di eventi contenuti nel libro, la pellicola muta costituisce una sorta di chiave di volta dell’intera narrazione, non solo in termini di intreccio, bensì anche di interpretazione critica.
Essendo un’improvvisazione di scrittura, sviluppatasi man mano che i capitoli venivano trascritti, questa storia presenta diversi momenti di oscurità, punti irrisolvibili con un’analisi estremamente razionale, un po’ come le pellicole espressioniste di quel tempo. L’autore fornisce una serie di elementi chiave, che condurranno Theo all’inevitabile faccia a faccia finale con il suo antagonista, ma senza mai svelare, con spasmodica ricerca di un realismo plausibile a tutti gli effetti, ogni aspetto della vicenda.
Non il solito romanzo fantascientifico incentrato su viaggi nel tempo, macchinari avveniristici e folli scienziati, dunque. Teoria del Risveglio si presenta, invece, come una storia del gusto retrò, che comunica una forte coscienza di sé, che si impone al lettore e lo trascina lentamente nelle angosce del protagonista, nella sua frenetica ricerca di un ritorno alla propria vita, una lotta contro il tempo resa ancor più estrema dalla consapevolezza degli eventi che stravolgeranno la Germania nell’immediato futuro e dalla volontà di non essere risucchiato nel baratro del periodo più buio della storia del Novecento.
Un romanzo d’esordio dal taglio cinematografico, quasi una sceneggiatura, a sua volta, di un ipotetico film espressionista. Il biglietto da visita di un bravo scrittore, intenzionato a inseguire la propria passione e a mostrare ciò di cui si è reso capace attraverso gli studi e la sua voglia di mettersi alla prova.

Angela Pansini per Temperamente

Romanzo d’esordio di un ventisettenne autore pugliese, Teoria del risveglio è, come ogni opera prima, da leggere con tutte le precauzioni del caso e con ogni sano pregiudizio che sia utile a non scontentare il lettore più scafato, dal palato avvezzo ad altri gusti letterari.
La genesi di questo romanzo breve è tuttavia interessante e merita di farsi premessa per meglio capire la struttura del lavoro di Davide Potente.
Pubblicato a puntate settimanali (poi diventate i trenta capitoli dell’opera) sull’omonimo blog, Teoria del risveglio, viene ritirato dalla Rete nei mesi successivi per subire un opportuno labor limae e una riscrittura parziale ed essere proposto ad alcuni editori. A interessarsene è Arduino Sacco, piccolo editore romano che, come si legge in quarta di copertina, «non usufruisce […] di finanziamenti da parte degli autori. Si autofinanzia con la vendita dei libri».
Theodor Seeber (identità fittizia del protagonista, del quale non sapremo mai il vero nome) si sveglia in un posto sconosciuto, scopre di aver viaggiato a ritroso nel tempo di ottant’anni, non ricorda nulla di quanto gli è accaduto, ma viene aiutato a tornare alla sua casa e al 1999 da Hans Janowitz, con il quale si crea un forte legame d’amicizia. Janowitz è un personaggio realmente esistito, sceneggiatore (ingiustamente poco noto) insieme a Carl Mayer del film capolavoro dell’espressionismo tedesco, Das Cabinet des Dr. Caligari.
Le immagini e le vicende della pellicola muta di Robert Wiene si innestano, infatti, alla trama di Teoria del risveglio in un intreccio in cui reale e immaginato si mescolano fino a confondersi.
La storia scritta da Potente risente fortemente dell’influsso dei suoi studi di cinema, evidenziando una scrittura che predilige lo stile della sceneggiatura e una concezione cinematografia delle inquadrature e della delineazione sfumata dei personaggi. Basti pensare al bel piano sequenza all’inizio del terzo capitolo, in cui Seeber descrive ciò che vede affacciandosi alla finestra della sua stanza, in una modesta pensione della Berlino del 1921.
Questo è il motivo per cui lacunosi e poco chiari appaiono certi passaggi del romanzo, che nell’intenzione dell’autore vogliono ricalcare i non detti che affascinano in un’opera cinematografica, ma che possono lasciare il lettore con l’amaro in bocca e la sensazione che si tratti di buchi narrativi imputabili all’inesperienza di chi scrive. In realtà, lo stile di Davide Potente, pur apparendo ancora acerbo, presenta tutte le caratteristiche del talento non ancora espresso al pieno delle sue possibilità. Se una pecca evidente può essere attribuita a questo libro è quella di deficitare di una certa omogeneità. Su di esso sembra infatti gravare la mancanza di una visione d’insieme in un progetto che – come dicevamo all’inizio – è nato passo passo, sull’onda dell’ispirazione e dell’improvvisazione (per stessa ammissione di Potente), e pertanto in alcuni punti soffre di certe ingenuità stilistiche e narrative del tutto emendabili con l’esperienza.
A Theodor, Hans e a figure che restano per lo più sullo sfondo come Rebecca, Otto e Greta, ci si affeziona. L’enigmatico ‘Cesare’ rimane un mistero irrisolto. Il gabinetto del dottor Caligari e l’interpretazione che l’autore dà del suo finale è la chiave di volta dell’intero romanzo. Un romanzo con una chiusura sospesa nel vuoto di interrogativi che restano senza risposta, ma che regala la curiosità di leggere ancora altro del giovane Davide Potente.

Valeria Moriconi per Pubzine

Ora però vi spiego la mia di teoria…
1921-1999. Passato e presente. Due piani temporali che dialogano tra di loro, si interfacciano senza lasciare uno spazio bianco, una continuità senza interruzione la cui vivacità e intensità avvolgono il romanzo di Davide Potente attraversandolo dalle prime pagine fino all’ultima parola in un solo respiro. Merita attenzione questo gioco illusorio in cui il tempo sembra essere definito da un punto di vista, dalla persona che lo osserva e se ne fa portavoce.
 Annotazione #1
Allora, calma. Calma. Ci sono due cose che ricordo bene, il problema è che sono anche le uniche. La prima e l’utlima cosa che ho visto: l’ultima prima di svenire e la prima quando mi sono svegliato, circa un’ora fa, in questa stanza. Solo queste due immagini per capirci qualcosa.
Apre gli occhi, si sente stordito ma non impiega molto tempo a realizzare che non si trova nella sua casa ma in una stanza di albergo, non si ricorda niente di quanto accaduto se non vaghi dettagli che non lo aiutano a capire: è lui il protagonista, l’uomo del presente, si trova inaspettatamente prigioniero di un tempo che non è il suo ma che lo è stato: la Berlino del 1921.  L’incontro “casuale” con Hans Janowitz, l’uomo del passato, lo porterà a scoprire con i propri occhi un’epoca mai vissuta ma solo studiata nei testi scolastici. Vista da lontano. Ma ora si volta pagina, a questo uomo senza memoria, senza vissuto, Hans costruisce una nuova identità, un nuovo nome, capace di colmare, solo momentaneamente, quel vuoto che rende il protagonista agitato e inquieto. Ora lo possiamo chiamare Theodor Seeber. Accanto a lui un taccuino su cui appunta tutto quello che gli accade, le sue annotazioni, una diario di bordo fermo a registrare ogni singolo movimento di quel viaggio, in cui realtà e immaginario sembrano compenetrarsi in una soluzione che fa fatica a rivelarsi. Di continuo si aggiungono dettagli, personaggi che rimangono in ombra fino alla fine, un ritmo veloce e incalzante che in certi punti si interrompe per lasciare spazio a brevi pause descrittive, come per dare il tempo al lettore di rilassarsi, di riflettere, perché la Teoria del Risveglio non ammette distrazione. Come sottofondo, come un suono costante che accompagna gran parte dell’opera, l’elemento di fusione: il film di Hans Janowitz Das Cabinet des Docktor Caligari, un cult dell’espressionismo tedesco molto discusso, di cui la storia sembra influenzare l’andamento del romanzo, del suo protagonista fino a lasciarlo in bilico, sospeso in quella gabbia temporale.
Se ne stava seduto in camera (…) chiedendosi se fosse questo il prezzo da pagare per aver portato sullo schermo un’intuizione rivelatasi fondata e, dunque, poco opportuna. Gli dissi che non lo sapevo, ma sapevo quanto poco rassicurante fosse svegliarsi in un luogo sconosciuto senza avere idea di come ci sei arrivato (…)


Spetterà solo a Theodor capire qual è la strada che lo porterà a casa, rischiando il tutto per tutto, divincolandosi in quel labirinto che sembra essere senza uscite, a trovare la soluzione di tutti gli accadimenti, a dire poi la sua teoria. La teoria del risveglio.